Confraternita di San Carlo Borromeo

Sessa Aurunca - Caserta

Il Culto di San Lazzaro a Sessa

Questa nota ci fu consegnata dal Prof. Luigi Izzo che negli ultimi anni della sua vita ha voluto lasciarci traccia di un antico culto e di tradizioni che l'inesorabile incedere del tempo ha ormai cancellato.

LE DONNE DI SAN LAZZARO

di Luigi Izzo

Fino a 35–40 or sono la Settimana Santa si concludeva, a Sessa Aurunca, all’imbrunire della giornata di Venerdì con l’aspettato e coinvolgente arrivo delle “Donne di San Lazzaro Benedetto”.

Prima del Concilio Vaticano II, anzi già ai tempi del vescovo di venerata memoria mons. Gaetano De Cicco, il pomeriggio della Domenica delle Palme si assisteva ad un folto e silenzioso andirivieni, quasi una processione, dei sessani al cimitero per portare la Palma benedetta ai cari defunti e, incontrandosi con parenti e conoscenti, ci si salutava dicendo: “Sia lodato Gesù Cristo”. La stessa cosa avveniva nei giorni di Giovedì e Venerdì Santo, quando non si metteva la tovaglia a tavola, né si spazzava la casa, per rispetto alla Passione che Gesù stava per affrontare.

La “Processione dei Misteri” dell’Arciconfraternita del SS. Crocifisso si svolgeva nel tardo pomeriggio del Giovedì Santo, e sostava brevemente in diverse chiese dov’era allestito sull’altare maggiore il così detto “Sepolcro di Nostro Signore”, fatto con disegni sul pavimento fatti di segatura variamente colorata o di petali di fiori e ricco di cereali fioriti, specie grano, messi artisticamente a terra e sull’altare fino all’urna posta alla sommità centrale, ov’era depositata l’Ostia consacrata. Questi cereali erano messi a crescere il giorno delle Ceneri in appositi contenitori di legno o creta paesana. Numerosi erano i ceri accesi e le lampadine.

Intorno alle ore 8 del Venerdì mattino uscivano separate le Processioni delle Confraternite San Carlo, con il gruppo della Deposizione, e del S. Rifugio con il Cristo in grembo della Madonna Addolorata.

Rientrata anche questa processione ci si affrettava ad andare al Duomo per assistere alla sacra funzione delle “Tre ore di agonia di Nostro Signore”.

Quale indescrivibile commozione pervadeva tutti i fedeli quando il falegname “Mastro Titta”, aiutato da cinque seminaristi, dopo aver fatto passare sotto le ascelle del Cristo Crocefisso del Duomo un candido telo di purissimo lino, batteva ritmicamente il martello sulla punta dei chiodi delle mani del Cristo posto in mezzo tra il cattivo e il buon Ladrone, e liberava le braccia e i piedi santi e così il Cristo, sorretto dai seminaristi, veniva deposto sulla bara.

Allora, in processione, con la partecipazione, di tutti i sacerdoti e canonici del Capitolo cattedrale e del Vescovo con il manto omerale penitenziale, il Cristo nella bara seguito dalla statua dell’Addolorata, era portato nella cripta di S. Michele, ove si procedeva al bacio delle sacre Reliquie da parte dei numerosissimi fedeli profondamente commossi.

Al risalire nella cattedrale, ci accoglieva il fulgore della luce diurna perché nel frattempo gli “apparatori” avevano tolto i panni neri che oscuravano i finestroni del duomo. Successivamente alla funzione aspettavamo in Piazza Mercato le “Donne di S. Lazzaro”, provenienti da S. Andrea Vallefredda, S. Ambrogio, S. Vittore, Roccadevandro, Vallemaio e da altri paesi del Cassinate, che dopo aver attraversato il fiume Garigliano arrivavano a Sessa attraverso dei viottoli da loro conosciuti.

Dopo aver comprato candele nei vari negozi della piazza si disponevano in fila verso il Corso Lucilio. Qualcuno ne portava due o tre, perché un parente o un caro amico, che non era potuto venire in pellegrinaggio, gli aveva affidato la “sua candela” quale segno della Fede e della sua devozione a San Lazzaro benedetto. Avanti procedeva un giovanetto, che sorreggeva una Croce con il Cristo coperto da un panno marrone scuro, in segno di penitenza, e da rametti di palme d’ulivo.

Poi veniva un vecchietto, guida dei pellegrini, e dopo seguivano gli uomini e, molto più numerose, le donne, le quali portavano sulla testa, senza alcun aiuto delle mani, grossi cesti con le provviste necessarie durante il pellegrinaggio, che terminava il mattino di Pasqua. Essendo le donne quasi il doppio degli uomini, i pellegrini erano denominati: “le Donne di San Lazzaro”.

Particolare attenzione richiamava qualche ragazzino, che procedeva tenendosi con la manina stretta alla gonna della madre. Una giovane dalla voce alta e armoniosa intonava le Litanie della Beata Vergine Maria e tutti con un coro particolare e commovente rispondevano: “Ora, ora pro nobis”, scuotendo l’anima dei sessani che facevano ala sui marciapiedi.

Il tremolio delle luci delle candele, sul far della sera, ed il coro possente costituivano uno spettacolo, quasi una visione tutta particolare, nella quale anche quelli che assistevano per caso restavano sbalorditi e si sentivano uniti, partecipi a quella manifestazione di fede.

Durante il tragitto della processione parecchi sessani cercavano di tagliare il percorso affrettandosi a entrare nella chiesa di San Carlo, piuttosto piccola per tanti fedeli, prima che arrivassero i pellegrini, accalcandosi nelle cappelle laterali e nella sacrestia.

All’ingresso nella chiesa, ov’era esposta la statua di San Lazzaro con ai piedi il cagnolino, i pellegrini invocavano, alla fine della litania, prima dell’Agnus Dei, in dialetto cassinese per tre volte: “Santu Lazzaru benerittu ora, ora pro nobis.”

L’entrata in chiesa dei pellegrini tutti avveniva strusciando con le ginocchia per terra. Per ultime entravano le donne che avevano fatto “il voto” e che ringraziavano o chiedevano la grazia a San Lazzaro per un loro caro ammalato.

Infatti San Lazzaro è il Santo che salva e fa guarire da tutti i mali, specie dalle piaghe e dai dolori delle mani e dei piedi.

Queste, procedendo in ginocchio strusciavano con la lingua per terra, tenendo stretto in bocca tra i denti un grande fazzoletto colorato e l’altro capo era tenuto da un ragazzino. Ciò avveniva nonostante il divieto dei Vescovi del tempo.

A richiesta di spiegazioni, il vecchietto guida dei pellegrini, mi precisò una volta che con questo gesto veniva imitato San Lazzaro che raccoglieva le briciole per terra ai piedi della tavola del ricco epulone ed il ragazzino rappresentava il cagnolino che seguiva San Lazzaro, leccandogli le piaghe.

Alla fine il vecchietto si rivolgeva dall’altare maggiore ai numerosi sessani ringraziando ed augurando una buona Pasqua, dopo aver precisato lo scopo del pellegrinaggio e le grazie fatte o richieste a San Lazzaro Benedetto.

Era prassi che una personalità sessana doveva anch’essa dovesse salutare i pellegrini e il più delle volte spettava al Podestà (attuale Sindaco) ed al priore della Confraternita di San Carlo.

Poi ci si salutava abbracciandosi e lentamente si ritornava a casa, con l’animo commosso mentre i pellegrini consegnavano al cappellano ed al priore della Confraternita di San Carlo, gli ex voti in argento raffiguranti la parte del corpo guarita o che San Lazzaro doveva guarire.

Erano pure donate collanine d’oro e quadretti in legno o stoffa, che ricordavano il miracolo compiuto da “Santu Lazzaro benerittu, portiere del Paradiso”.

Incuriosito per questo appellativo dato al Santo, chiesi delucidazioni al vecchietto guida, che ogni anno era immancabile al pellegrinaggio, il quale spiegò che San Lazzaro è l’unico Santo proclamato da Gesù Cristo e perciò miracoloso per eccellenza, che guarisce e salva da tutti i mali del corpo e dell’anima, messo a guardia del Paradiso, dove il ricco epulone, ormai morto, non può andare.

Questa spiegazione fu fatta con tanto calore d’animo e fede. Si rifaceva così a quanto proclamato dal Vangelo di San Luca. Le donne rimanevano a pregare, dopo aver deposto ai piedi del Santo le candele sempre accese, mentre la sacrestana intonava a lungo le litanie.

Lentamente la chiesa si sfollava ed i pellegrini si sistemavano: le donne si riposavano e dormivano durante la notte sugli stalli del coro nella sacrestia e gli uomini a terra sulla paglia approntata dalla confraternita, oppure nel cortile.

Al mattino del Sabato Santo facevano colazione mangiando il pane e formaggio, che le donne avevano portato e i finocchi che compravano dall’ortolano adiacente la chiesa. Poi i pellegrini partivano, uscendo dalla chiesa a ritroso, cioè volgendo sempre il viso verso l’altare maggiore e San Lazzaro, al quale si rivolgevano cantando: “ Santu Lazzaro benerittu, noi siamo di partenza. Dateci la licenza e la Santa Benedizione”.

Camminando in gruppo e non più processionalmente, ma sempre preceduti dal giovanetto che portava la Croce con il Cristo ormai scoperto, andavano al Duomo per salutare la Madonna del Popolo e Cristo Risorto vincitore della morte, esposto sull’altare maggiore, perché la Gloria “si scioglieva” il mattino alle ore 10.00 del Sabato Santo.

I pellegrini intonavano poi di nuovo le litanie della Beata Vergine Maria e si recavano a Roccamonfina, al Santuario dei Lattani.

Ai Lattani pernottavano e la mattina di Pasqua, dopo aver ascoltato la Santa Messa e partecipato alla Santa Comunione, i pellegrini ritornavano ai propri paesi. Quale profonda Fede era da loro praticata e quale esempio davano a noi i pellegrini denominati “ le donne di San Lazzaro”.